Brano autorizzato da P. Ballario, “Fiabe e leggende delle Dolomiti”
Giunti Editore S.p.A. Firenze-Milano – per gentile concessione dell’editore
C’era una volta una principessa di neve.
L’avevano tanto desiderata a corte, una principessa!
– Un reame senza principesse è come un giardino senza rose – dicevano i sudditi, ed erano tristi e triste era il re e più triste era la regina.
La regina anzi sospirava sempre e per non addolorare il re coi suoi sospiri, usciva a sospirare e a piangere sul torrione del castello.
Il castello s’innalzava sopra un poggio; di fronte al poggio si ergeva la Marmolada e sulla Marmolada il palazzo di ghiaccio della regina delle nevi.
Questa regina, benché avesse il cuore di gelo, un po’ si commosse e un po’ si seccò di quei sospiri e un giorno, affacciatasi al balcone si sporse, guardò in giù e chiese:
– Chi piange nella valle?
– Io, la tua vicina Chiomadoro – rispose la regina del reame senza principesse.
– La regina?
– Proprio lei.
– E perché?
– Perché sono infelice.
La regina delle nevi spalancò gli occhi e la bocca.
– Tu? e come mai? Sei regina, sei bella, sei giovane, tuo marito ti ama e ti ama il tuo popolo, e se non erro hai anche un principotto.
– È vero, – sospirò la regina Chiomadoro – il principotto ce l’ho e bello e buono e virtuoso, ma i principotti appartengono prima ai sudditi, poi al re e da ultimo, ma poco poco, a mamma regina. Il principotto studia da mattina a sera per diventare un saggio sovrano, e nelle ore in cui gli altri bimbi si divertono e vanno a passeggio con la mamma, egli tira di scherma e monta a cavallo per diventare un robusto sovrano, e io lo vedo così di rado che invidio tutti i bimbi senza corona e le mamme di quei bimbi.
– E così? – chiese la regina delle nevi. – E così vorrei avere una principessa…. La regina delle nevi sorrise.
– Ho capito, per avertela sempre alle sottane. Hai ragione anche tu.
Accennatole di aspettare, rientrò un momento nel suo palazzo e, quando si affacciò, lasciò cadere nel giardino della reggia di fronte una culla rosea con dentro una principessina di neve.
Una principessina di tal fatta non è la principessa più desiderabile, ma la regina delle nevi dava ciò che aveva e l’altra regina fu contenta ugualmente. Tutto il regno fu contento; anche il re, anche il principotto.
Ma presto cominciarono i guai.
Quella principessina non poteva vivere che all’ombra, perché il sole l’avrebbe liquefatta, ma quando lo si conosce, si può forse rinunciare al sole?
Allora il sovrano, d’accordo coi suoi sudditi, decretò che dal suo regno fosse abolito il sole perché la principessina Ombretta, non conoscendolo, non avesse mai a desiderarlo.
Così fu.
Nel regno di quel re si capovolse il corso della vita; di giorno si dormì e di notte si vegliò. Da prima tutto parve facile e nessuno trovò così grave il sacrificio di far giorno della notte e notte del giorno; amavano tanto la loro principessa che avrebbero dato la vita per lei.
Poi a poco a poco l’esistenza divenne insopportabile.
Tutti i lavori si arenarono, il popolo si infiacchì, e nella reggia e nel regno entrarono a braccetto quelle due signore inseparabili che si chiamano miseria e malinconia.
Con tale scorta, si sa, nulla può prosperare, e a corte e fuori si sentì gravemente quale errore era stato quel capovolgimento di abitudini, ma nessuno volle confessarlo per non recare danno alla piccola principessa di neve.
La principessa intanto era cresciuta ed era una pallida graziosa creatura tutta piena di amore e di bontà e si inquietava vedendo il mutamento che ogni giorno si compiva intorno a lei. Visi sempre più smorti, persone sempre più sparute, nessuna risata né un sorriso neppure sulle bocche dei bambini che ridono tanto facilmente.
“Certo”, pensò la fanciulla “qualche terribile dolore angoscia la mia famiglia e il mio popolo, e non mi mettono a parte del loro segreto perché mi amano troppo e non vogliono che io soffra. Ma io soffro ugualmente vedendo soffrire quelli che amo”.
E andò dalla regina e le chiese la causa della tristezza generale. La regina sorrise carezzandola sui bei capelli biondi.
– Nessuno è triste, figliuola; io sono felicissima e il popolo è felice.
Ombretta andò dal re, gli si inginocchiò dinanzi e gli ripeté la domanda, e il re si grattò la barba e si soffiò il naso e rispose: – Figliuola, l’infelicità nel mio regno non esiste, perché ci sei tu che sei la nostra gioia.
Allora interrogò il principotto Ricciobruno e il principotto Ricciobruno scoppiò a piangere ed evitò di risponderle.
La principessina Ombretta restò sgomenta a guardare la porta da cui il fratello era sparito piangendo, e si disse: “Certo, la causa di tutta questa tristezza è Ricciobruno. O ha commesso qualche scappatella o è molto malato, o è molto in felice”.
E poiché si convinse che alla reggia nessuno le avrebbe mai svelato il perché della malinconia che tormentava tutti, pensò di andare a interrogare una donna sapiente che abitava nei boschi, e a cui ricorrevano le sue piccole amiche quando volevano conoscere un segreto.
La donna sapiente sapeva tutto e non ingannava nessuno. Ci andò.
Per uscire inosservata dalla reggia si travestì da contadina, così quando bussò alla porta della donna sapiente e le sedette dinanzi, questa che era molto miope non la riconobbe.
– Buongiorno, buongiorno, – le disse – in che posso servirti?
– Ah davvero se tu mi dicessi perché il principotto Ricciobruno e tutti con lui sono tanto infelici, mi renderesti un gran servigio.
– Perché? gli vuoi bene?
– Al principe? certo e anche agli altri.
– Che buona figliola! mi duole per te, ma il principotto e gli altri con lui sono destinati a morire.
La principessa sobbalzò.
– A morire?
– Eh, figliuola mia, chi vive senza il sole? – Il sole? e che cos’è il sole?
– È vero è vero, tu non puoi conoscerlo, perché sei tanto giovane, e da quando è nata la principessina Ombretta, pena la morte, non si può neppure farne parola, ma il sole è la ragione e la vita del mondo; il sole fa germogliare e fa vivere.
– O bella! e il sole si è forse offeso per la nascita di questa principessa ed ha abbandonato il nostro regno?
– Figliuola, come sei ignorante! il sole è troppo generoso per privare gli uomini della sua luce e del suo splendore; ogni giorno si leva e tutti gli uomini si levano con lui, tranne quelli del nostro regno che hanno avuto la sfortuna di avere una principessina di neve.
A Ombretta scesero due lacrime lungo le gote, ma la donna sapiente non se ne avvide perché sapete che era molto miope e proseguì, mettendosi gli occhiali:
– Il sole scioglie la neve e mentre dà la vita a tutti noi, a questa malaugurata principessa darebbe la morte, sì che il nostro re e i suoi sudditi hanno capovolto le abitudini del mondo e preferiscono morire piuttosto che sacrificare l’esistenza della principessina….
Mentre diceva così la povera Ombretta era scoppiata in singhiozzi ed era uscita dalla capanna, decisa a morire piuttosto che ritornare alla reggia dove tutti agonizzavano per lei, e la donna sapiente restò con la bocca aperta, presa dal terribile dubbio di aver parlato alla principessa in persona.
Allora prese il suo bastone e, incespicando ad ogni passo perché era anche molto vecchia, uscì dalla sua casuccia e si diede a inseguirla e a chiamarla perché tornasse indietro.
– Principessa, principessa, perdonami, ho scherzato, ho mentito, ho voluto farti una burla, ti ho raccontato una frottola. Torna a casa tua perché il sole sta per sorgere e ti potrà far male.
– Dunque vedi che non hai raccontato una frottola se temi che il sole mi sciolga, povera donna sapiente! – rispose la principessina Ombretta, piangendo e correndo per non essere raggiunta.
E piangi piangi, corri corri, fu raggiunta dall’aurora vestita di rosa, e l’aurora riconosciutala dalla corona di gemme che recava sul capo, si fermò e le disse:
– Oh, principessa Ombretta, il sole sta per uscire dal suo castello e ti scioglierà, povera principessina di neve; torna in fretta alla reggia dove ti stanno cercando- disperatamente.
Piange il re, piange la regina e piangono i sudditi e il principe.
Allora la principessa Ombretta cessò di piangere e rispose: – Meglio che essi piangano la mia morte piuttosto che io viva col rimorso di averli uccisi tutti.
E proseguì a camminare, rasserenata dal pensiero che il suo sacrificio non sarebbe riuscito inutile, perché sparita lei, spariva dalla reggia ogni ragione di escludervi il sole.
Camminò fino a che vide il sole fare capolino all’oriente; allora si fermò abbagliata da tanta grandezza e da tanta meraviglia e capì come nel suo regno i suoi sudditi morivano per il dolore di averlo perduto.
Il sole dolente di distruggere una creatura così bella afferrò a volo una nube e se ne coprì gridando alla fanciulla di neve: – Principessa Ombretta, chi ti ha lasciato uscire a quest’ora? Nasconditi in fretta perché ti sciolgo e mi dispiace toglierti la vita.
La principessina sorrise:
– E che importa se la spendo per il bene dei miei?
Allora il sole, commosso da tanta bontà, allungò un raggio fino a lei e se la trasse accanto al suo cocchio d’oro, dicendole: – La tua generosità ti ha salvata, principessa, perché la bontà non muore mai e tu regnerai con me sul mondo.
Questo alla corte della principessina non si seppe. Si seppe dalla donna sapiente che ella aveva sacrificato la sua vita per amore dei suoi, e il luogo dove si credette che la piccola dolce principessa avesse lasciato la sua vita mortale fu intitolato al suo nome.
Ancora oggi Passo Ombretta si chiama il bel valico alpino che da Canazei, in Val di Fassa, conduce a Contrin.